Il testamento che presenti anomalie sostanziali e formali può provare l’incapacità naturale del testatore.
Con la sentenza n. 2731 del 17 ottobre 2024, la Corte d’Appello di Milano ha confermato l’annullamento del testamento olografo con cui un’anziana signora aveva lasciato i propri beni al figlio della sua collaboratrice domestica. La Corte ha ritenuto provata l’incapacità naturale della testatrice al momento della redazione dell’atto, anche alla luce del contenuto illogico e ricco di errori grammaticali del testamento.
Secondo l’art. 591 codice civile (Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono stati dichiarati incapaci dalla legge) sono incapaci di testare: 1) coloro che non hanno compiuto la maggiore età [c.c. 2]; 2) gli interdetti per infermità di mente [c.c. 414]; 3) quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento [c.c. 428] 1.
Nei casi d’incapacità preveduti dal presente articolo il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse. L’azione si prescrive [c.c. 2946] nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Secondo la Corte di Appello di Milano Orbene, ai sensi dell’art. 591 cod. civ., difettano della capacità di testare quei soggetti che, sebbene non interdetti, per qualsiasi causa, anche transitoria, si trovavano in stato di incapacità naturale al momento della redazione del testamento.
In ordine alla prova dell’incapacità naturale, deve precisarsi che questa può essere fornita con
qualsiasi mezzo, dunque anche mediante presunzioni semplici (così Cass. 19.2.2021 n. 4518;
Cass. 22.10.2019 n. 26873).
Con riguardo al tema dell’annullamento del testamento ex art. 591 cod. civ., si è ribadito recentemente
che “l’incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o
alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una
infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in
modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o
della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di
incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il
testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia
avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo”
(Cass. 19.2.2018 n. 3934).
Sempre la Suprema Corte ha affermato, quale principio ulteriore connesso a quello appena richiamato,
che, ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del de
cuius al momento della redazione del testamento, il giudice di merito “non può ignorare il contenuto
dell’atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà,
normalità e coerenza dalle disposizioni nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate”
(Cass. 8690\2019; Cass.5620\1995).
Orbene, rammentato che l’onere della prova della mancanza assoluta, al momento della redazione
dell’atto di ultima volontà, della capacità d’intendere e di volere gravasul soggetto che impugna la
scheda testamentaria e che, costituendo oggetto di un’eccezione, dev’essere provata in modo serio e rigoroso (Cass. 22.3.1985 n. 2074), deve ritenersi che l’esame del quadro istruttorio allegato in giudizio,
compiuto dal tribunale, è del tutto condivisibile, e permette di concludere, contrariamente a quanto
assume l’appellante, che la de cuius al momento della redazione della scheda testamentaria del 17
marzo 2017 si trovasse in una situazione di “grave perturbazione delle facoltà di comprendere il
significato e gli effetti dei propri atti”.
Ed, infatti, il Tribunale ha correttamente valorizzato il fatto che una persona colta avesse redatto un
testamento illogico e ricco di errori grammaticali, il fatto che la de cuius non sapesse più distinguere un
testamento da una procura, avendone conferita una poca tempo prima, il fatto che abbia scelto un foglio diverso rispetto a quelli usati in precedenza per la redazione del testamento, nonché la distanza
della firma dal testo, la stringatezza del medesimo, la totale assenza di punteggiatura e l’assenza di un
preambolo.
L’appellante a fondamento dell’appello invoca, invece, il fatto che il Tribunale, anziché rigettare la
domanda dell’attrice, in quanto non provata, l’abbia accolta nonostante le esperite CTU abbiano, da un
lato, accertato che il Testamento in questione era stato redatto dalla de cuius e, dall’altro, che
quest’ultima avesse redatto liberamente e consapevolmente il testamento in oggetto; si duole che il
Tribunale non abbia dato rilievo alla relazione redatta dal Dr. OMISSIS e che il Tribunale abbia invertito
l’onere probatorio.
In realtà il Tribunale ha accolto la domanda di annullamento del testamento sulla base di una pluralità
di elementi allegati dalla parte attrice, specificando che ” A questa conclusione si ritiene non osti in
alcuna misura la valutazione delle condizioni mediche della de cuius, che ha formato oggetto di analisi
peritale da parte del dott. OMISSIS , nominato quale ulteriore c.t.u. insieme al rag. OMISSIS (il quale
aveva segnalato al precedente g.i. la necessità che tali aspetti della perizia fossero appunto esaminati da un
esperto dotato di opportune competenze).”.
Il Tribunale non ha invertito l’onere della prova, ma ha valutato tutte le circostanze a partire dall’esame
dell’atto e dei suoi contenuti, non aderendo alle conclusioni della Ctu medica che ha ritenuto
contraddittoria, poco motivata e non condivisibile in alcuni punti, secondo un apprezzamento del tutto
legittimo.
Consegue, quindi, l’irrilevanza anche della doglianza dell’appellante laddove si duole che il tribunale
non abbia dato rilievo alla relazione del Dott. OMISSIS
Priva di fondamento è poi la censura dell’appellante secondo cui il Tribunale non avrebbe tenuto conto
che la de cuius, dopo aver erogato per quattro anni consecutivi (dal 2012 al 2015) donazioni alla
OMISSIS , abbia poi deciso di interrompere tali elargizioni, considerato che il legato a favore di
quest’ultima è stato disposto anche con il testamento del 2016 e, quindi, dopo che le elargizioni erano
state interrotte, con ciò evidenziando il legame esistente tra la sig.ra OMISSIS e la OMISSIS.
Non è stato messo in discussione, peraltro, il fatto che tale legato costitutiva per la sig.ra OMISSIS un
ricordo della propria figlia, OMISSIS tragicamente morta in giovane età in un ospedale psichiatrico.
Anche la censura dell’appellante circa il fatto che il Tribunale avrebbe errato per aver affermato che
non era stata contestata la circostanza secondo cui la frequentazione con la de cuius fosse durata
pochissimo tempo non coglie nel segno, dal momento che è lo stesso appellante ad affermare che “Nel
caso che ci occupa, è incontestabile che tra il signor OMISSIS e la signora OMISSIS si sia instaurato un
rapporto di frequentazione e affetto, ancorché la conoscenza fosse recente e sia stata originata da un
rapporto di lavoro risulta quindi insindacabile la valorizzazione che di tale rapporto la signora OMISSIS
ha voluto dare nel testamento”. ( cfr. pag. 29 comparsa conclusionale primo grado).
Conclusivamente, ritiene la Corte che sia stato, nella fattispecie in esame, soddisfatto il rigore
probatorio richiesto per annullare un testamento per incapacità naturale del testatore ai sensi
dell’art. 591 c.p.c., che postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà
psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o
permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al
momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della
capacità di autodeterminarsi.
Né le prove orali dedotte dal OMISSIS in primo grado e qui reiterate, devono ritenersi ammissibili,
trattandosi di fatti privi di decisività.
Altrettanto inammissibili devono ritenersi le nuove istanze istruttorie formulate dal sig. OMISSIS e correlate ai nuovi fatti allegati, giacché anch’esse formulate per la prima volta in appello e tese ad
avvalorare i predetti fatti.
Venendo all’esame dell’ultimo motivo di appello, con il quale l’appellante si duole della liquidazione
delle spese di lite, di CTU e del custode come effettuata dal Tribunale, se ne rileva l’infondatezza atteso
che il Tribunale ha tenuto in considerazione il fatto che non tutte le domande della OMISSIS erano
state accolte, disponendo così una compensazione parziale.
Per tutti i motivi sopra esposti, l’appello deve essere rigettato e la sentenza impugnata confermata.
Rimane assorbito l’appello incondizionato proposto dalla OMISSIS
Quanto alle spese del presente grado di giudizio, le stesse seguono la soccombenza dell’appellante e si
liquidano in favore di ciascuna parte appellata costituita – tenuto conto del valore della controversia
(indeterminato – complessità media), dei parametri previsti dal D.M. n. 147 del 2022 e dell’effettiva
attività difensiva svolta – in complessivi Euro 8.470,00 di cui Euro 2.518,00 per la fase introduttiva, Euro
1.665,00 per la fase di studio, Euro 4.287,00 per la fase decisionale, esclusa la fase istruttoria non
celebratasi, oltre rimborso spese generali, IVA e c.p.a. come per legge.
Nulla sulle spese nei confronti di OMISSIS e OMISSIS rimasti contumaci.
Infine, la pronuncia di rigetto dell’impugnazione principale proposta comporta la declaratoria, ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 , dell’obbligo dell’appellante di pagare l’ulteriore
importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la rispettiva impugnazione.
P.Q.M. La Corte di Appello di Milano definitivamente pronunciando sull’appello proposto da OMISSIS avverso
la sentenza del Tribunale di Milano n. 6596 del 26 luglio 2022, disattesa ogni altra domanda, istanza o
eccezione, così ha provveduto:
1) rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
2) condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite in favore di OMISSIS di OMISSIS e di OMISSIS che si liquidano, in favore di ciascuna parte, in complessivi Euro 8.470,00, oltre rimborso
forfettario 15%, IVA e c.p.a. come per legge;
3) nulla sulle spese nei confronti di OMISSIS e OMISSIS ;
4) visto l’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 , dichiara l’obbligo dell’ appellante di pagare
l’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello principale.
Conclusione
Così deciso in Milano, il 9 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2024.
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