Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, per quanto qui di interesse, aveva confermato la condanna inflitta dal tribunale ad un imputato per aver realizzato, in assenza del permesso di costruire, opere abusive nelle pertinenze di un preesistente immobile, consistenti in un manufatto ligneo, bullonato a terra, con copertura a due falde, con superficie di 11,00 mq, pari ad volume di 26,00 mc, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 19 novembre 2024, n. 42371 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui il manufatto in questione costituiva un pergolato, in quanto manufatto leggero di dimensioni limitate, amovibile, giacché non stabilmente infisso al suolo, in quanto ad esso semplicemente bullonato, privo di qualsiasi elemento in muratura e di copertura, anche frontale, con indispensabili elementi per sorreggere le piante – ha ribadito il principio secondo cui si intende per pergolato una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di modeste dimensioni e di facile rimozione, la cui finalità è quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi |
Cass. pen., Sez. III, 29/3/2018, n. 23183 Cass. pen., Sez. III, 25/2/2009, n. 10534 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’
art. 6 D.P.R. 6/6/2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), sotto la rubrica «Attività edilizia libera», prevede al comma 1, lett. b-bis, che “1. Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: (omissis); b-bis) gli interventi di realizzazione e installazione di vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti, cosiddette VEPA, dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche dei balconi aggettanti dal corpo, di logge rientranti all’interno dell’edificio o di porticati, a eccezione dei porticati gravati, in tutto o in parte, da diritti di uso pubblico o collocati nei fronti esterni dell’edificio prospicienti aree pubbliche, purché tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come definiti dal regolamento edilizio-tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile anche da superficie accessoria a superficie utile. Tali strutture devono favorire una naturale microaerazione che consenta la circolazione di un costante flusso di arieggiamento a garanzia della salubrità dei vani interni domestici ed avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche; (omissis)”.
In particolare, la questione si pone, tenuto conto della vicenda sottoposta all’esame della Cassazione, per i “pergolati”. I giudici di merito, infatti, avevano condannato l’imputato escludendo la riconducibilità del manufatto al novero degli interventi di edilizia libera, in ragione delle stesse caratteristiche costruttive dell’opera, trattandosi di struttura composta da quattro colonnine in legno con sovrastante grigliato ligneo, occupante una superficie di 31,00 mq, ancorata al suolo, giacché bullonata su base cementizia, così da escludere il carattere di amovibilità delle impalcature destinate a sorreggere piante rampicanti, proprie dell’invocata edilizia libera.
La Cassazione, nel disattendere la contraria tesi difensiva, nell’affermare il principio di cui sopra, ha ricordato come la giurisprudenza di legittimità aveva preso in considerazione la nozione di “pergolato” per distinguerla dalla “tettoia“, osservando che la diversità strutturale delle due opere è rilevabile dal fatto che, mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l’abitabilità dell’immobile (
Cass. pen., Sez. III, n. 23183 del 29/3/2018, inedita; Cass. pen., Sez. III, n. 10534 del 25/2/2009, inedita;
Cass. pen., Sez. III, n. 19973 del 16/4/2008, CED Cass. 240049).
Tali definizioni sono state peraltro ribadite prendendo in considerazione le nozioni di “tettoia” e “pensilina”, rilevandone la sostanziale identità ricavabile dalle medesime finalità di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici e riconoscendo la necessità del permesso di costruire nei casi in cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale dell’intervento (Cass. pen., Sez. F, n. 33267 del 15/7/2011, inedita). Anche la giurisprudenza amministrativa si è interrogata, in più occasioni, sulla nozione di “pergolato”, dando atto della mancanza di una definizione normativa e affermando che tale opera si caratterizza come manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (
Cons. Stato, Sez. VI, n. 306 del 25/1/2017;
Cons. Stato, Sez. VI, n. 2134 del 27/4/2015 ;
Cons. Stato, Sez. IV, n. 5409 del 29/9/2011 ).
Considerando tali caratteristiche, ha pure escluso che possa rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura realizzata mediante pilastri e travi in legno di significative dimensioni, tali da renderla solida e robusta facendone presumere una permanenza prolungata nel tempo (
Cons. Stato, Sez. IV, n. 4793 del 2/10/2008), diversamente da quanto ritenuto riguardo ad un manufatto precario, facilmente rimovibile, costituito da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’ immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura (ex plurimis,
Cons. Stato, Sez. VI, 29/3/2024, n. 2973 ;
Cons. Stato, Sez. VI, 22/9/2023, n. 8475;
Cons. Stato, Sez. V, n. 6193 del 7/11/2005).
A conclusioni identiche sono pervenute altre decisioni, che hanno definito il pergolato come manufatto in struttura leggera di legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per teli, senza comportare un aumento di volumetria e senza determinare trasformazione edilizia e urbanistica (ex plurimis,
TAR Piemonte, Sez. II, n. 974 del 5/12/2023 ;
TAR Sardegna, Sez. II, n. 355 del 19/5/2021;
TAR Umbria, Sez. I, n. 499 del 28/10/2010 ), tale da realizzare un’ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, destinate ad un uso del tutto momentaneo (ex plurimis,
TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 3972 del 29/7/2013;
TAR Lazio, Latina, Sez. I, n. 568 del 18/6/2013; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, n. 1746 del 25/11/2011).
Dunque, la differenza tra “pergolato” e “tettoia” è stata individuata in termini analoghi a quelli indicati dalla giurisprudenza di legittimità, facendo ricorso al linguaggio comune ed evidenziando che la tettoia si caratterizza come struttura pensile, addossata al muro o interamente sorretta da pilastri, di possibile maggiore consistenza e impatto visivo rispetto al pergolato, il quale è normalmente costituito da una serie parallela di pali collegati da un’intelaiatura leggera, idonea a sostenere piante rampicanti o a costituire struttura ombreggiante, senza chiusure laterali (
Cons. Stato, Sez. VI, n. 825, del 18/2/2015).
La convergenza tra la giurisprudenza di legittimità e quella amministrativa consente, dunque, di confermare il principio di diritto secondo il quale “si intende per pergolato una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di modeste dimensioni e di facile rimozione, la cui finalità è quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno”. Date tali premesse, risultava dunque di tutta evidenza che la struttura realizzata per come descritta e sulla base delle caratteristiche costruttive accertate in fatto nel giudizio di merito, non poteva in alcun modo essere qualificata come pergolato, giacché si trattava di una struttura composta da quattro colonne bullonata al suolo su base cementizia, che palesemente non rientra tra le opere di edilizia libera.
Da qui, dunque, l’inammissibilità del ricorso.
Riferimenti normativi: Art. 282-bis c.p.p.
[https://www.altalex.com/documents/2024/11/27/non-pergolato-struttura-quattro-colonne-bullonata-suolo-base-cementizia]