
Non integra il delitto di diffamazione la condotta di chi invii via email una segnalazione, ancorché contenente espressioni offensive, alle competenti autorità, volta ad ottenere un intervento per rimediare ad un’illegittimità amministrativa, mediante attivazione dei poteri di autotutela, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., “sub specie” di esercizio del diritto di critica, anche in forma putativa, laddove l’agente abbia esercitato il diritto di critica ed assolto l’onere di deduzione di fatti nella convinzione, anche erronea, del rilievo dei medesimi ai fini richiesti.

L’invio di email a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, quando plurimi ne siano i destinatari (Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, P.M. in proc. Nastro, Rv. 254044), in presenza della prova dell’effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato “scaricato” mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario (Sez. 5, n. 55386 del 22/10/2018, Assirelli, Rv. 274608).

In caso di invio multiplo, realizzato con lo strumento del “forward” a pluralità di destinatari, il reato di diffamazione si configura, invero, in forma aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., in considerazione del “particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica” (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459).

L’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della “comunicazione con più persone” anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo
l’ordinaria diligenza: è quanto accade, ad esempio, in ipotesi di trasmissione di un messaggio di posta elettronica al responsabile di un pubblico ufficio per motivi inerenti la funzione svolta che, per necessità operative del servizio o dell’ufficio, non resta riservato tra il mittente ed il destinatario ed è, pertanto, destinato ad essere visionato da più persone (V. Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016 – dep. 2017, S., Rv. 269016), salva l’esplicita indicazione di riservatezza. In tal caso, la modalità di trasmissione a mezzo mail in nulla si distingue dall’ordinario inoltro per posta ordinaria, in busta chiusa non recante la dicitura “riservata – personale”, essendo la comunicazione originata da ragioni di ufficio destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all’apertura e smistamento della corrispondenza (Sez. 5, n. 30727 del 08/03/2019, De Feo, Rv. 276525), o a successivi destinatari, competenti per le fasi del procedimento amministrativo al quale la comunicazione medesima abbia dato avvio. E tale destinazione “in incertam personam” riguarda, all’evidenza, anche gli allegati ad una nota di trasmissione, che con quest’ultima si integrano per relationem, avendone il mittente fatto proprio il contenuto.

Nel quadro così sommariamente delineato, si tratta di verificare se siffatti principi trovino applicazione tout court alle comunicazioni trasmesse a mezzo Posta Elettronica Certificata (c.d. PEC).

Va, al riguardo, rilevato come la PEC sia un particolare tipo di posta elettronica, che consente di assegnare ad un messaggio di posta elettronica lo stesso valore legale di una tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento, garantendo così la prova dell’invio e della consegna, grazie alle peculiari modalità di trasmissione certificata da parte di gestori autorizzati, sui quali esercita funzioni di vigilanza l’Agenzia per l’Italia digitale (AGID), nel quadro del controllo e coordinamento dei servizi digitali (certificati digitali, PEC, firma digitale, marca temporale, sigillo elettronico, etc.) e della qualifica dei relativi provider.

Dal punto di vista dell’utente, la casella di posta elettronica certificata non si differenzia, dunque, da una normale casella di posta elettronica, se non per ciò che riguarda il meccanismo di comunicazione e la presenza delle ricevute inviate dai gestori PEC al mittente e al destinatario; l’utente destinatario non visualizza l’e-mail del mittente, ma un messaggio automatico generato dal gestore di posta del mittente, che contiene due allegati: la e-mail “originale” del mittente con relativi allegati, ed un file xml (file di testo o accesibile tramite software) con le stesse informazioni della notifica di invio trasmessa al mittente (ID del messaggio; luogo, data e ora di invio; dati di intestazione, quali e-mail del destinatario, tipo ed oggetto), in conformità alle specifiche tecniche fissate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 68/2005, e successive modificazioni, ed alle norme del d. Igs. N.235/2010 (Codice dell’Amministrazione Digitale), che ne stabiliscono la validità legale, le regole e le modalità di utilizzo.
Il contenuto può essere certificato e firmato elettronicamente, ovvero criptato, garantendo, in tal caso, autenticazione, integrità dei dati e confidenzialità.

Le caratteristiche della PEC supra richiamate non escludono ex se la potenziale accessibilità a terzi, diversi dal destinatario, delle comunicazioni, attenendo la certificazione ai soli elementi estrinseci della comunicazione (data e ora di ricezione), e non già alla esclusiva conoscenza per il destinatario della e-mail originale.

Nondimeno, l’utilizzazione della PEC richiede un rafforzato onere di giustificazione riguardo l’elemento soggettivo del reato di diffamazione, in specie relativamente alla prevedibilità in concreto dell’accessibilità di terzi al contenuto dichiarativo, laddove il mittente opti per siffatto tipo di comunicazione proprio al fine della prova della ricevuta, avente valore legale, da parte del destinatario.

Indici rivelatori, in tal senso, possono essere desunti dalla conoscenza delle prassi in uso al destinatario, ovvero dalla natura stessa dell’atto, se destinato all’esclusiva conoscenza del medesimo o se, invece, finalizzato all’attivazione di poteri propri di quest’ultimo che, necessariamente, implichino l’accessibilità delle informazioni da parte di terzi.