Il progetto per l’istituzione del Tribunale della Pedemontana Veneta, con sede a Bassano del Grappa, continua ad alimentare un acceso dibattito tra amministratori, professionisti e rappresentanti delle categorie economiche. Dopo l’annuncio governativo e il primo slancio istituzionale, si moltiplicano sia gli endorsement trasversali, sia le voci critiche, che temono un nuovo nodo irrisolto nella già complessa geografia giudiziaria italiana.
Il rilancio di un presidio soppresso nel 2012.<
La sede giudiziaria bassanese fu soppressa nel 2012 durante la stagione della spending review imposta dalla riforma del governo Monti. Oggi, un disegno di legge vorrebbe riportarla in vita per servire 72 Comuni tra le province di Vicenza, Treviso e Padova, con una popolazione complessiva di oltre 500.000 abitanti e un organico previsto di circa 15 magistrati. Il progetto è stato confermato dai sottosegretari Ostellari e Delmastro, su impulso di numerosi esponenti veneti del Parlamento.
Il fronte favorevole: “Presidio necessario per il territorio”.
A sostenere con forza la riapertura sono il Sindaco di Bassano Nicola Finco, una parte significativa della maggioranza in Consiglio Regionale, il Presidente del Veneto Luca Zaia, e numerosi parlamentari di centrodestra e centrosinistra. Secondo i promotori, il tribunale restituirebbe efficienza e prossimità a un’area ad alta intensità produttiva, oggi servita solo dai distretti di Vicenza e Treviso, spesso congestionati.
Anche le categorie economiche del Bassanese, tra cui Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, Coldiretti, Confimi, Confesercenti e Confapi, hanno sottolineato l’opportunità di avere un presidio dedicato, con una particolare attenzione – espressa da Confartigianato Vicenza – alla creazione di un Tribunale delle Imprese, pensato per le controversie tra PMI.
Il fronte contrario: “Progetto anacronistico e inefficiente”.
Sul versante opposto, si è consolidato un fronte critico guidato da 59 sindaci della provincia di Vicenza, che definiscono il progetto “nostalgico, inefficace e insostenibile”. A preoccupare è soprattutto la gravissima carenza di personale già oggi riscontrata nei tribunali esistenti – Vicenza lavora con il 50% dell’organico previsto – e la mancanza di risorse economiche per sostenere una nuova struttura. Anche gli Ordini degli Avvocati di Padova, Treviso e Vicenza si sono detti contrari, parlando di “sciagura per il sistema giustizia”, e sottolineando come ogni nuovo presidio rischi di minare la già fragile tenuta organizzativa e funzionale degli uffici attuali.
Alla freddezza di alcuni settori di Forza Italia, si affianca il no compatto del Partito Democratico, che legge l’iniziativa come una bandiera ideologica della Lega, da piantare in vista delle prossime scadenze elettorali regionali.
La vera questione: giustizia di prossimità o giustizia alternativa?
Al di là del confronto tra favorevoli e contrari, emerge una riflessione più profonda e forse ancora poco presente nel dibattito pubblico: è davvero utile continuare a puntare sul sistema della giustizia ordinaria per risolvere le controversie civili ed economiche?
Le statistiche confermano una crisi di fiducia diffusa tra cittadini e imprese nei confronti del sistema giudiziario italiano. Secondo l’ISTAT (2023), solo il 54,2% dei cittadini coinvolti in una causa civile si dichiara molto o abbastanza soddisfatto dell’esperienza; e oltre il 70%ritiene che i tempi della giustizia ordinaria siano eccessivamente lunghi. Il dato più significativo è che soltanto il 28% dei cittadini ha consapevolezza dei costi complessivi di una causa prima di iniziarla: un indice di sfiducia e incertezza strutturale.
In questo scenario, si fa strada l’idea che il futuro della giustizia civile debba passare per strumenti alternativi, in primis l’arbitrato amministrato, affidato a camere arbitrali private, indipendenti e specializzate, estranee ai condizionamenti degli ordini professionali o delle associazioni di categoria.
I numeri dell’arbitrato: una giustizia più rapida, efficace e credibile
I dati della Camera Arbitrale di Milano (CAM) – una delle principali in Europa – confermano la crescente attrattività dell’arbitrato:
• Nel 2023, sono state presentate 138 domande arbitrali, con un incremento del 5,3% rispetto al 2022.
• Il valore complessivo delle controversie trattate ha superato i 545 milioni di euro, più del doppio rispetto all’anno precedente.
• Il 49% dei procedimenti si è concluso con un lodo arbitrale: una decisione definitiva, autorevole e vincolante per le parti.
Sul piano della tempistica, il dato è ancora più eloquente:
• Un procedimento arbitrale ordinario dura in media 12,6 mesi, contro i diversi anni del giudizio ordinario.
• Le procedure semplificate si concludono mediamente in 5 mesi.
Cifre che confermano l’arbitrato come strumento rapido, riservato, flessibile, specializzato ed economico.
Clausola compromissoria: la chiave per un sistema moderno.
Perché le imprese (e anche i cittadini) possano realmente accedere alla giustizia arbitrale, è necessario prevedere nei contratti una clausola compromissoria ben formulata, che indirizzi le controversie verso un tribunale arbitrale indipendente. Solo così sarà possibile evitare la lentezza, l’aleatorietà e il peso economico del contenzioso ordinario, affidandosi a un meccanismo più efficiente e tutelante.
Il dibattito sul Tribunale della Pedemontana è complesso. Ma forse, oltre alla geografia delle sedi e alle risorse da allocare, è tempo di chiedersi quale giustizia sia davvero utile ai cittadini e alle imprese di oggi.
Forse il futuro non è aprire nuovi tribunali ma evitare di doverli utilizzare, puntando su strumenti alternativi più efficienti, efficaci e sostenibili.
Meno cause, più arbitrati.
Meno incertezze, più giustizia.