La proposta di legge consente agli adulti che si prevede abbiano meno di 6 mesi di vita di richiedere e ricevere aiuto per porre fine alla loro vita – a condizione che vi siano garanzie e protezioni precise
Dopo cinque ore di dibattito appassionato, a volte molto emotivo, che ha toccato questioni etiche, re, religiose e giuridiche il Parlamento britannico ha dato un primo via libera al disegno di legge che renderà legale il suicidio assistito per alcuni malati terminali in Inghilterra e Galles ma solo dopo un ulteriore voto dei deputati. Il momento era talmente importante che centinaia di persone si sono radurante di fronte a Westminster mostrando cartelli sia a favore che contro il provvedimento. Tra questi Philip Friend, dell’associazione Not Dead Yet , è insieme ad alcune persone in carrozzella che piangono: «Ora i dottori ci offriranno un trattamento che è di fatto un suicidio? L’assistenza sociale è senza speranza, il Servizio sanitario nazionale è a pezzi, l’opzione più facile ora sarà la morte assistita? Ci spaventa a morte».
In aula, intanto, si sono espressi sia i sostenitori della possibilità di avere una morte dignitosa che impedisca sofferenze inutili sia chi, al contrario, afferma che così si mettono a rischio le persone vulnerabili, potenzialmente costrette, direttamente o indirettamente, a porre fine alla propria vita in modo che non diventassero un peso.
Alla fine la legge è passata con 330 voti a favore e 275 contro.
Che cosa prevede la legge
La proposta di legge punta a consentire agli adulti che si prevede abbiano meno di 6 mesi di vita di richiedere e ricevere aiuto per porre fine alla loro vita a condizione che vi siano garanzie e protezioni. In particolare, dovrebbero essere in grado di assumere da soli i farmaci fatali.
Dopo questo voto, il disegno di legge dovrà passare attraverso un altro ciclo di audizioni, dove affronterà un ulteriore esame e votazioni in entrambe le Camere del Parlamento. In caso di approvazione, la nuova legge non entrerebbe in vigore prima di 2 o 3 anni.
Chi era a favore, e chi no
«Siamo chiari: non stiamo parlando di una scelta tra la vita e la morte, ma di dare alle persone in fin di vita la possibilità di scegliere come morire», ha detto la principale promotrice della legge, Kim Leadbeater, nel discorso di apertura in un’aula gremita. Ha ammesso che non è una decisione facile per i parlamentari, ma – ha detto – «se qualcuno di noi volesse una vita facile, è nel posto sbagliato». Leadbeater è la sorella di Jo Cox, la deputata assassinata nel 2016 alla vigilia del referendum sulla Brexit.
A ispirare la legge è lo stesso premier laburista, Keir Starmer. Il governo ha tuttavia lasciato libertà di voto e il dissenso è esploso: contro il provvedimento si erano schierati sia il ministro della Sanità, Wes Streeting, sia la ministra della Giustizia, Shabana Mahmood, le due autorità che dovrebbero assicurare l’implementazione della legge. Contraria anche la vice-premier, Angela Rayner. Si calcola che tra il 40 e il 60% dei deputati laburisti abbia votato sì.
Le divisioni hanno attraversato anche il Partito conservatore: con David Cameron, primo ministro all’epoca della bocciatura della proposta del 2015, che ha fatto sapere ieri di aver cambiato ora idea e si è espresso a favore, al contrario da quanto fatto da altri ex premier suoi compagni di partito come Theresa May, Boris Johnson e Liz Truss.
Gli unici compatti nell’esprimere il sì sono stati i quattro parlamentari verdi.
Contrarietà è stata espressa nei giorni scorsi inoltre da dignitari delle maggiori confessioni religiose del Regno (cristiani, ebrei, musulmani e indù) nel timore che una svolta di questo genere sia destinata a promuovere «una cultura dell’eutanasia». I sostenitori parlano invece di «libertà di scelta», assicurando che l’iniziativa di legge in cantiere prevede paletti precisi, sotto la supervisione dei medici, ed evocando le normative analoghe già in vigore in vari Paesi europei e in discussione nel Regno Unito anche nel Parlamento locale della Scozia.
I sondaggi hanno registrato in crescita il totale dei britannici favorevoli, sotto la spinta di campagne pubbliche animate da attivisti, associazioni e da figure note come Esther Rantzen: ex giornalista tv 84enne alle prese con un cancro diagnosticato come terminale.
Le parole dell’ex premier Gordon Brown
Nei giorni scorsi, a fare notizia era stato l’intervento dell’ex premier Gordon Brown, che ha riportato all’attenzione la tragedia personale – già ben nota – vissuta da Brown e da sua moglie Sarah 13 anni fa, quando persero la loro figlia appena nata. L’ex primo ministro laburista aveva affidato a un intervento sul Guardian la sua opposizione al disegno di legge voluto dall’attuale leader Keir Starmer, che dovrebbe introdurre in Gran Bretagna il diritto a scegliere il suicidio assistito per i malati terminali.
Brown sosteneva che la discussione è andata avanti troppo in fretta, considerate «le profonde questioni etiche e pratiche» che sono coinvolte.
L’ex premier e sua moglie ebbero una bambina, Jennifer, nel dicembre del 2001, ma quattro giorni dopo la nascita si resero conto che aveva sofferto una gravissima emorragia cerebrale. «Eravamo pienamente consapevoli che tutte le speranze erano svanite – scrive Brown – e che non aveva alcuna possibilità di sopravvivenza. Potevamo solo sedere accanto a lei, tenere la sua piccola mano ed essere lì mentre la sua vita scivolava via. È morta fra le nostre braccia». La piccola spirò dopo soli 11 giorni di vita. «Ma quei giorni passati accanto a lei – continua Brown – restano fra i più preziosi nella vita mia e di Sarah. L’esperienza di trovarmi con una bambina fatalmente malata non mi ha convinto del suicidio assistito: mi ha convinto del valore e dell’imperativo di avere una buona cura per il fine-vita».
E dunque l’ex premier, invece di legalizzare il suicidio assistito, suggerisce una strategia per migliorare le cure palliative
[https://www.corriere.it/esteri/24_novembre_29/regno-unito-suicidio-assistito-394edeea-86ee-48fc-a3fa-f63b695bbxlk.shtml]